Euribor negativo, banche spiazzate. Cosa cambia per i mutui?

Alla fine è accaduto. L’Euribor a 1 mese, a cui sono agganciati molti mutui a tasso variabile stipulati e offerti in Italia (un’altra bella fetta è agganciata all’Euribor a 3 mesi) è sceso sottozero. Ieri questo tasso interbancario (che sintetizza il costo dei prestiti interbancari a 1 mese, anche se si basa su dichiarazioni delle banche e non su reali transazioni) è stato fissato a -0,002%. Briciole in termini numerici ma che ora pongono un importante interrogativo nei confronti delle banche che non erano attrezzate a questa evenienza. Sì, perché il calcolo della rata di un mutuo a tasso variabile è effettuato di rata in rata (di mese in mese per la maggior parte dei contratti) sommando allo spread (la % fissa stabilita dalla banca a inizio del contratto che rappresenta il guadagno lordo degli istituti su un prestito) il tasso di indicizzazione scelto (il tasso Bce che in questo momento è positivo ed è pari allo 0,05% e per la maggior parte dei casi, Euribor a 1 e 3 mesi). Dato che l’Euribor a 1 mese è sceso sottozero vorrà dire che tecnicamente il tasso finale dei mutui ad esso ancorati dovrebbe essere dalle prossime rate, seppur di 1 millesimo, inferiore allo spread. La domanda è: dato che il Tan (Tasso annuo nominale) del mutuo variabile è dato dallo somma tra spread ed Euribor, ora che questo indice è diventato negativo, le banche lo sottraranno davvero? È possibile? «La discesa dell’Euribor sotto lo zero era una eventualità probabilmente considerata poco realistica dalle banche, che adesso stanno valutando se e come gestire la cosa in termini di calcolo del tasso – spiega Roberto Anedda, direttore marketing di Mutuionline.it -. Difficile dire ora se davvero qualche banca prevederà una pura somma algebrica tra un indice negativo e uno spread positivo, che in caso di Euribor sotto lo zero porterebbe ad un tasso finale inferiore allo spread previsto da contratto. Una opzione potrebbe essere quella di stabilire che il tasso non potrà scendere sotto il valore dello spread, ma si tratta di ipotesi che potremo verificare con i prossimi aggiornamenti dei contratti di mutuo o dai fogli informativi delle banche». Certo, questo aggiornamento potrebbe essere fatto per i nuovi mutui, ma sui vecchi mutui le banche sono difatti spiazzate. A questo punto ai mutuatari non resta che porre personalmente il quesito allo sportello del proprio istituto per constatare se è pronto tecnicamente ad effettuare la somma algebrica (e quindi a sottrarre lo spread). In teoria, è sufficiente leggere il proprio contratto di mutuo. Se non è previsto diversamente, un Euribor negativo dovrebbe continuare ad essere sommato algebricamente (quindi sottratto) allo spread per ottenere il tasso finale del mese su cui calcolare la prossima rata. In un basket di contratti visionati dal Sole 24 Ore non sono stati riscontrati “ombrelli sull’Euribor”, ovvero limiti oltre il quale l’Euribor non possa scendere per il calcolo della rata. Per cui in teoria questi contratti dovrebbero prevedere la sottrazione automatica dell’Euribor (quando negativo) allo spread fisso per ottenere il tasso su cui calcolare la nuova rata. Lo stesso discorso vale per i mutui in franchi svizzeri concessi ai cittadini italiani (e tanto criticati in questi giorni dopo la decisione della Banca nazionale svizzera di lasciar liberamente rivalutare il franco sull’euro dopo aver bloccato il tasso di cambio per tre anni fino a 1,2, una decisione che costerà cara per i mutuatari italiani che devono rimborsare rate in franchi e percepiscono un reddito in euro). In questi giorni il Libor – il tasso interbancario svizzero utilizzato per indicizzare i mutui variabili elvetici – è sceso sotto 0, molto più pesantemente dell’Euribor. Il Libor a 3 mesi è addirittura sceso a -0,66%. Al momento, visionando i fogli informativi delle banche italiane che propongono questi mutui in franchi, non si leggono indicazioni accessorie. Il che lascia pensare che anche in questo caso gli istituti siano stati spiazzati dalla rapida discesa sottozero degli indici interbancari e che, allo stesso tempo, non abbiano previsto un tetto sotto cui (a punto la soglia negativa) il tasso interbancario non possa scendere ai fini del calcolo della rata. Del resto, la logica di un mutuo a tasso variabile, nell’era dei tassi negativi che stiamo vivendo in questo delicato momento di trappola della liquidità e deflazione nell’Eurozona, prevederebbe appunto che i tassi interbancari negativi debbano essere sottratti (cioè sommati algebricamente) allo spread. Occhio quindi a come gestire questa fase in cui molti istituti potrebbero cercare di rinegoziare con il cliente in corsa il contratto, inserendo o praticando difatti quella clausola per essi tutelante che non hanno mai inserito perché non si sarebbero forse mai immaginati di operare in un mondo dove i tassi vanno al contrario.

fonte: Il Sole 24 Ore

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Unico certifica la crisi delle imprese

Quattro imprese su dieci hanno chiuso l’anno d’imposta 2012 in perdita (35%) o, se è andata bene, in pareggio (5%). Quelle che hanno registrato utili sono scese del 3,9 per cento. È la fotografia scattata dai dati sulle dichiarazioni Ires e Irap 2013 (anno d’imposta 2012) del dipartimento delle Finanze che certificano la crisi delle imprese.

Dai dati diramati ieri emerge anche il valore della deducibilità dell’Irap dalle imposte dirette e in particolare dall’Ires: un bonus da 8,3 miliardi di euro per 331mila soggetti. Mentre sul fronte degli aiuti alle imprese spicca il successo dell’Aiuto alla crescita economica (Ace) messo in campo dal decreto salva-Italia (Dl 201/2011) per la capitalizzazione delle imprese e utilizzato da 239mila società pari a oltre il 16,4% in più rispetto al 2011. Quasi sette beneficiari su dieci (164mila soggetti) avevano già utilizzato il bonus in Unico 2012 passando da una deduzione da 1,7 a 3,3 miliardi

A pesare sulle dichiarazioni delle imprese – come ha sottolineato il dipartimento delle Finanze – è stato il contesto macroeconomico caratterizzato da una contrazione del Pil (-0,7% in termini nominali e -2,3% in termini reali). Nell’anno d’imposta 2012 le dichiarazioni delle società di capitali sono state poco meno di 1,1 milioni. La forma giuridica più utilizzata è quella della Srl (87,2%).

Il 60% dei contribuenti ha dichiarato un reddito d’impresa che comunque risultato in aumento rispetto all’anno precedente (158 miliardi di euro in totale, +1,5%). E questo soprattutto grazie alla forte contrazione delle perdite registrata nel settore bancario e finanziario soprattutto legata alle operazioni di liquidità straordinaria messe in campo nel 2012 dalla Bce.

Nel 2012 le società di capitali hanno dichiarato complessivamente un imponibile di 126,7 miliardi di euro, con un lieve calo (-0,2%) rispetto all’anno precedente, influenzato anche dall’utilizzo delle perdite pregresse, che è risultato in netto aumento: sono stati 130mila i contribuenti che hanno liquidato l’imposta sottostando al vincolo dell’80% per un importo complessivo di 8 miliardi, mentre sono state 32mila le società che hanno utilizzato le perdite senza vincoli perchè registrate nei primi tre periodi di imposta . L’imponibile dichiarato dalle società che liquidano l’imposta ordinariamente ha mostrato un calo (-7,6%), in particolare nei settori delle costruzioni (-22,3%), del commercio (-14,6%) e del manifatturiero (-12,2%), mentre si è registrato un incremento nel settore finanziario (+33,3%).

Arrivano anche i primi dati sulle società in perdita sistemica. Sono state 14.120 quelle a non sfuggire alla tagliola dei tre anni di «rosso» continuato (ora il Dlgs 175/2014 porta a cinque anni il periodo di osservazione) e che si sono viste applicare la maggiorazione Ires del 10,5% (per un corrispettivo di 12 milioni di euro). In poco più di 29mila sono invece riuscite a evitare le penalizzazioni grazie a una delle cause di disapplicazione e allo stesso tempo quasi 310mila società hanno evitato la non operatività proprio grazie alle cause di esclusione o di disapplicazione automatica. Sempre in tema di addizionali Ires va segnalato che la Robin tax (su cui pende un giudizio di costituzionalità) ha interessato 580 società per un valore di 1,4 miliardi di euro (-7,4% rispetto all’anno d’imposta 2011): il 74% arriva da imprese con sede nel Lazio e in Lombardia.

fonte: Il Sole 24 Ore