Definizione agevolata (cd ROTTAMAZIONE): cosa succede dopo il 31 luglio.

Hai aderito alla Definizione agevolata? Il 31 luglio è scaduto il termine per pagare la prima o unica rata della “rottamazione”. Consulta la pagina informativa se non hai rispettato la scadenza.

Se l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha comunicato l’accoglimento della domanda di Definizione agevolata

A seguito del pagamento della prima o unica rata

  • sono revocati eventuali piani di rateizzazione precedenti riferiti a cartelle/avvisi oggetto di Definizione agevolata;
  • può essere richiesta (analogamente a quanto previsto per le istanze di rateizzazione), compilando l’apposito modulo, la sospensione dell’eventuale fermo amministrativo sul bene mobile registrato, a patto che il debito oggetto del fermo sia totalmente inserito nella Definizione agevolata.

In caso di mancato, insufficiente o tardivo pagamento della prima o unica rata

  • la Definizione agevolata non produce effetti e l’Agenzia delle entrate-Riscossione, come previsto dalla legge, dovrà riprendere le procedure di riscossione;
  • non è possibile ottenere nuovi provvedimenti di rateizzazione salvo che per le cartelle e gli avvisi notificati da meno di 60 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione di adesione alla Definizione agevolata;
  • possono essere ripresi i pagamenti delle rateizzazioni in corso alla data di presentazione della domanda di Definizione agevolata e in regola con i precedenti pagamenti. In tal caso, l’Agenzia delle entrate-Riscossione comunicherà gli importi e le nuove scadenze del debito residuo, secondo un piano di pagamento con lo stesso numero di rate ancora non versate di quello originario.

In caso di mancato, insufficiente o tardivo pagamento della rate successive alla prima

  • si perdono gli effetti della Definizione agevolata e l’Agenzia delle entrate-Riscossione, come previsto dalla legge, dovrà riprendere le procedure di riscossione;
  • è preclusa la possibilità di ottenere nuovi provvedimenti di dilazione salvo che per le cartelle e gli avvisi notificati da meno di 60 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione di adesione alla Definizione agevolata;
  • i precedenti pagamenti sono considerati a titolo di acconto sugli importi complessivamente dovuti. 

Se l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha comunicato il rigetto della domanda di Definizione agevolata

  • in assenza di piani di dilazione, è possibile presentare una nuova richiesta di rateizzazione;
  • in presenza di piani di dilazione decaduti, è possibile essere riammessi al beneficio della rateizzazione dopo aver saldato tutte le rate scadute;
  • in presenza di piani di dilazione non decaduti, è possibile proseguire con la precedente rateizzazione. 

fonte: AeR

Rimborso sanzioni Inail illegittime anni 2006-2010.

Illegittima sanzione Inail per omesso versamento contributi lavoratori in nero: ecco chi può presentare domanda di rimborso.

datori di lavoro che, per violazioni accertate nel periodo compreso tra il 2006 e il 2010, hanno pagato la maxi sanzione civile di importo minimo di 3mila euro per lavoro nero, possono presentare domanda di rimborso alla Sede Inail competente. Quest’ultima provvederà a calcolare la sanzione civile corretta e a rimborsare la differenza.

La norma [1] che prevedeva, in caso di omesso versamento dei contributi e premiriferiti a ciascun lavoratore in nero, una sanzione non inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata, è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale.

La pronuncia di illegittimità ha efficacia retroattiva e rende pertanto rimborsabili tutte le somme che i datori di lavoro hanno versato a titolo di sanzione civile per lavoro nero, in eccesso rispetto alle corrette regole di calcolo.

Il diritto al rimborso si prescrive in 10 anni decorrenti dalla data del versamento: ciò vuol dire che chi, nella vigenza della norma dichiarata illegittima, ha pagato più del dovuto, ha dieci anni di tempo per presentare la domanda di rimborso. Nel 2017 scade il termine per coloro che hanno pagato le sanzioni nel 2007.

 Disciplina delle sanzioni Inail e sentenza Corte Costituzionale

Nel 2014 la Corte Costituzionale [2] ha dichiarato l’illegittimità della norma relativa alle sanzioni civili per lavoro nero, nella parte in cui stabiliva che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non potesse essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.

A giudizio della Corte, infatti, poiché le sanzioni civili connesse all’omesso versamento di contributi e premi hanno una funzione essenzialmente risarcitoria, essendo volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall’ente previdenziale, la previsione di una soglia minima disancorata dalla durata della prestazione lavorativaaccertata, dalla quale dipende l’entità dell’inadempimento contributivo e del relativo danno, è irragionevole e pertanto la norma è illegittima nella parte relativa alla sanzione civile.

Il regime sanzionatorio dichiarato illegittimo è stato in vigore dal 12 agosto 2006 al 23 novembre 2010.

Sanzioni civili omesso versamento contributi: regime attuale

Per le violazioni commesse a partire dal 24 settembre 2015, vige il seguente regime sanzionatorio [3]:

– In caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate: una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento.

La sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.

– Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesidal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti.

La sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi, non corrisposti entro la scadenza di legge.

Rimborso sanzione Inail illegittima

A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, la norma dichiarata illegittima ha cessato di avere efficacia e di conseguenza, da tale data, non può più essere applicato il regime sanzionatorio in vigore dal 12 agosto 2006 al 23 novembre 2010, che prevedeva la soglia minima di 3.000 euro della sanzione civile per ciascun lavoratore non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria.

Deve quindi essere applicato unicamente il regime sanzionatorio ordinario vigente dal 2015 (illustrato nel paragrafo precedente)

I soggetti assicuranti, che a suo tempo hanno regolarmente versato le sanzioni civili in base alla norma dichiarata illegittima, devono presentare domanda di rimborso alla Sede Inail competente, che provvederà a calcolare la sanzione civile ai sensi del regime vigente dal 2015 e a rimborsare la differenza.

Il termine prescrizionale per chiedere il rimborso, trattandosi di indebito previdenziale, è quello decennale, decorrente dalla data del versamento.

 Chi non può chiedere il rimborso

Per le società che risultano cancellate dal registro delle imprese, rimangono ferme le sanzioni civili già accertate e incassate, trattandosi di rapporti giuridici esauriti.

Non sono in ogni caso rimborsabili le somme per le quali il richiedente sia stato condannato al pagamento con sentenza passata in giudicato.

note

[1] Art. 36-bis, c. 7, lettera a), D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

[2] C. Cost. sent. n. 254/2014.

[3] Art. 116, comma 8, lettera b), L. n. 388/2000.

L’Agenzia delle Entrate può prelevare dal conto corrente.

L’Ente di riscossione può pignorare il mio conto per un debito con il Fisco? Anche senza preavviso? E, in tal caso, come posso bloccare il prelievo forzato?

Ebbene, sì: lo può fare. L’Agenzia delle Entrate Riscossione può pignorare il conto corrente di un debitore che ha in sospeso una cartella esattoriale. Può farlo, purché siano passati 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento.

L’Ente della riscossione lo può fare in due modi:

quello ordinario prevista dal codice di procedura civile oppure tramite la procedura speciale esattoriale. Qual è la differenza? La differenza è che nella prima, dopo la notifica dell’atto di pignoramento al debitore e al terzo pignorato (la banca o la Posta), il creditore si deve presentare davanti al giudice che autorizza l’assegnazione delle somme pignorate. E quello che comunemente si conosce come pignoramento presso terzi previsto per tutti i crediti privati. Nella seconda procedura, invece, questa fase davanti al tribunale delle esecuzioni non c’è e tutto avviene tramite un ordine impartito dall’Agenzia delle Entrate Riscossione alla banca o alla Posta, ordine che quest’ultima deve necessariamente rispettare. Con il pignoramento viene dato al contribuente un termine di 60 giorni per adempiere. Se non lo fa, i soldi presenti sul conto corrente verranno automaticamente trasferite nelle tasche dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.

La procedura speciale del pignoramento del conto corrente.

Quindi, come abbiamo appena detto, con l’atto di pignoramento di crediti presso terzi l’Agenzia delle Entrate Riscossione ordina al terzo ritenuto debitore del debitore (ossia la banca o Poste Italiane) di pagare direttamente all’Ente riscossore:

  • entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, le somme per le quali il diritto alla percezione da parte del debitore sia maturato anteriormente alla data di notifica dell’atto. In caso di omesso pagamento nel termine, non è prevista alcuna sanzione nei confronti del terzo e l’Agenzia delle Entrate Riscossione potrà attivare la procedura ordinaria di pignoramento;
  • alle rispettive scadenze, le restanti somme. Il tutto fino a concorrenza del credito per il quale l’Agente della riscossione procede, degli interessi di mora e dei compensi di riscossione maturati sino al giorno del pagamento e riportati nell’atto stesso.

Nell’atto di pignoramento, inoltre, l’Agenzia delle Entrate Riscossione intima alla banca o alle Poste di non disporre dei crediti nella titolarità del debitore e quindi, ad esempio, di non pagare il debito, e lo avverte che deve custodire le somme da lui dovute e nei limiti dell’importo del credito intimato aumentato della metà.

L’Ente riscossore deve notificare l’atto di pignoramento presso terzi con le modalità previste per la cartella di pagamento, sia al debitore che al terzo.

Tuttavia, l’omessa notifica al debitore, non rende l’atto inefficace e dunque il terzo potrebbe essere tenuto ugualmente ad effettuare il pagamento, anche se il debitore avesse motivi di contestazione. Ergo: l’Agenzia delle Entrate Riscossione può farci un’improvvisata e pretendere i soldi da noi dovuti senza preavviso. Non sarà simpatico portare la nuova fidanzata a cena per la prima volta in un posto romantico, tentare di pagare con la carta di credito o con il Bancomat e sentirsi dire che non c’è disponibilità sul tuo conto corrente. 

Il pignoramento del conto senza preavviso

Ma, battute a parte, la situazione potrebbe essere ben più drammatica se il soldi non servono per fare colpo sulla nuova fidanzata ma per pagare l’affitto, la rata dell’auto o della polizza vita o, se si è padre di famiglia, per pagare la rata della scuola o il dentista dei figli o per portare a tavola qualcosa da mangiare. All’Agenzia delle Entrate Riscossione questo non interessa, perché parte dal presupposto che è stato il debitore a mettersi in quella situazione. Quindi, nessuna eccezione, nemmeno quando i soldi servono a comprare un farmaco salvavita.

Va da sé che i guai comprendono anche gli assegni firmati prima che il correntista sapesse di essere rimasto «al verde»: l’assegno non sarà pagato, verrà protestato e aggiungerà altra benzina al fuoco, perché il debitore si vedrà arrivare le relative sanzioni dalla Prefettura.

C’è, comunque, un’eccezione. Se il conto corrente contiene solo redditi di lavoro dipendente o di pensione, anche se il saldo è attivo, il pignoramento non è consentitoentro una determinata somma. In particolare, fino a 1.344,21 euro (ossia il triplo dell’assegno sociale) è vietato ogni pignoramento che potrebbe, tutt’al più, estendersi sull’eventuale eccedenza. Quindi, il contribuente che riesca a mantenere il conto entro questa soglia non deve temere alcunché. Per tutti gli accrediti successivi (di stipendio o pensione) il pignoramento può avvenire fino a massimo 1/5.

Quale procedura sceglie l’Agente della riscossione?

Quando oggetto del pignoramento sono le pensioni, l’Agenzia delle Entrate Riscossione deve seguire la procedura ordinaria, negli altri casi può utilizzare quella speciale esattoriale.

Secondo la Corte Costituzionale [1], la facoltà di scelta tra due modalità di pignoramento presso terzi non lede il diritto di difesa dell’opponente né crea una rilevante disparità di trattamento tra i debitori esecutati. Sia perché questi possono in ogni caso proporre le opposizioni all’esecuzione o agli atti esecutivi, sia perché non sussiste un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali.

Come evitare il pignoramento del conto corrente?

Se si vuole evitare qualche improvviso dispiacere ed evitare il blocco totale del proprio conto corrente, le scelte sono tre.

  • la prima, la più ovvia (anche se la più antipatica), pagare entro 60 giorni;
  • la seconda, chiedere una dilazione del debito (cosiddetta rateazione). L’accoglimento di tale istanza comporta la rinuncia, da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, a tutti i pignoramenti in corso, compreso quello del conto corrente, che così verrà liberato;
  • la terza, proporre opposizione all’esecuzione e pregare tutti i santi in Paradiso affinché, alla prima udienza, il giudice sospenda l’esecuzione forzata (il che però verrà fatto solo in presenza di valide e gravi ragioni su cui è fondata l’opposizione)

note

 [1] C. Cost. sent. n. 393/2008.

fonte: Il Sole 24 Ore