Acconti del 1° dicembre, le dieci trappole da evitare per pagare di meno e non rischiare sanzioni.

Quale metodo utilizzare per i calcoli. Importo minimo a partire dal quale bisogna versare. Ecco le dieci trappole da evitare in vista degli acconti Irpef, Ires, Irap e della cedolare secca in scadenza lunedì 1° dicembre.

Tasse di fine anno/Come calcolare

Bisogna valutare la convenienza nell’applicare il metodo previsionale, piuttosto che quello storico. La scelta del metodo è libera ed opera in modo distinto su ciascun comparto impositivo. Ogni contribuente può scegliere il metodo da utilizzare in relazione ad ogni differente imposta per cui è tenuto al versamento.

Tasse di fine anno/Quanto pagare

Le percentuali da applicare nella determinazione dell’acconto sono differenti a seconda dell’imposta. I soggetti Irpef versano un acconto del 100 per cento. I soggetti Ires versano un acconto del 101,5 per cento. Il versamento dell’acconto Irap segue la percentuale dell’imposta diretta versata (100% per l’Irpef e 101,5% per l’Ires).

Tasse di fine anno/L’importo minimo

Alcuni contribuenti non hanno versato il primo acconto in quanto non obbligati per effetto del ridotto importo degli acconti dovuti. Non bisogna quindi dimenticare che questi soggetti effettuano il versamento dell’acconto in unica soluzione. Le soglie previste per l’acconto in unica soluzione sono 257 euro per i soggetti Irpef e 253 euro per quelli Ires.

Tasse di fine anno/L’utilizzo dei crediti

Se si intende compensare il secondo acconto va verificato di non aver già superato il tetto massimo consentito: 700mila euro (1.000.000 per i subappaltatori edili) a partire dal 2014. Non vanno conteggiate le compensazioni verticali, anche se esposte in F24. Si deve poi verificare se sono state effettuate compensazioni eccedenti la soglia dei 15mila euro, che richiedono il visto di conformità.

Tasse di fine anno/I debiti pregressi con il fisco

Prima di effettuare compensazioni sul secondo acconto verificare che non siano presenti debiti iscritti a ruolo scaduti per importi superiori a 1.500 euro. Tale soglia è riferita a imposte dirette, Irap, Iva, e altre imposte indirette. Non si considerano i tributi locali ed i contributi di qualsiasi natura iscritti a ruolo. È possibile sbloccare le compensazioni pagando il ruolo, anche mediante compensazione con il codice «RUOL».

Tasse di fine anno/Aumento Ace senza impatto

La legge 147/2013 ha innalzato per il 2014 il rendimento nozionale al 4% (dal 3%). Tuttavia viene espressamente previsto che di tale incremento non se ne debba tenere conto in fase di determinazione degli acconti. Ulteriori incrementi sono previsti anche in relazione a 2015 e 2016 ma sempre senza rilevanza sugli acconti.

Tasse di fine anno/La scelta per la «trasparenza» societaria

Coloro che optano per la trasparenza ex articolo 116 del Tuir sul 2014 devono versare gli acconti come se nel 2014 si continuasse a versare Ires: questo sia che scelga il metodo storico piuttosto del previsionale. Al contrario, se il 2014 è l’anno di uscita dalla trasparenza, l’acconto Ires sul 2014 si calcola prendendo come base l’imposta 2013 che si sarebbe determinata in assenza di opzione.

Tasse di fine anno/Le società non operative e quelle in perdita

I soggetti Ires che nel 2013 erano risultati di comodo e hanno proceduto al versamento della maggiorazione del 10,5% sono tenuti anche al versamento del relativo acconto. È comunque possibile utilizzare il previsionale e non versare. Con le modifiche contenute nel Dlgs semplificazioni (che porta da 3 a 5 anni il periodo di osservazione) è inoltre più facile «sfuggire» alla disciplina sulle perdite sistemiche.

Tasse di fine anno/Distributori di carburante

Nella determinazione dell’acconto i distributori di carburante assumono quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata senza tenere conto della deduzione forfettaria. Pertanto, in caso di metodo storico, l’acconto sul 2014 deve essere determinato senza considerare la deduzione in oggetto, «intercettabile» tra le altre variazioni in diminuzione.

fonte: Il Sole 24 Ore

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Così il grande occhio fiscale controllerà conti correnti e depositi bancari

L’emendamento approvato in commissione Bilancio alla Camera sul Ddl di Stabilità riduce i vincoli a carico del fisco per consultare i dati su conti correnti e depositi già arrivati nella Superanagrafe dei movimenti bancari.

Conti correnti/I dati nella Superanagrafe

La Superanagrafe è una banca dati in cui arrivano le informazioni sui rapporti bancari che istituti di credito e altri intermediari finanziari trasmettono direttamente all’agenzia delle Entrate. Per esempio, per i conti correnti, sono stati finora trasmessi i dati 2011 e 2012 relativi a saldo a inizio e fine anno, totale dei movimenti in entrata e uscita e delle operazioni extraconto (come per esempio i versamenti allo sportello sui conti correnti di altri). Non viene quindi trasmesso il dettaglio di ogni operazione effettuata nel corso dell’anno.

Conti correnti/L’analisi del rischio evasione

In base all’emendamento approvato in commissione Bilancio alla Camera, l’agenzia delle Entrate potrà effettuare sui dati a disposizione solo delle analisi di rischio. Pertanto, sembrerebbe comunque impedito al fisco di identificare singole posizioni per sottoporre i contribuenti a specifici controlli, ma gli dovrebbe essere consentito di individuare situazioni o comportamenti che presentano profili di rischio fiscale (anomalie finanziarie gravi e ripetute).

Conti correnti/La dichiarazione per l’Isee

La Superanagrafe dovrebbe semplificare il compito dei cittadini nella compilazione della dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) necessaria per determinare il nuovo Isee, vale a dire l’indicatore della situazione economica equivalente delle famiglie per l’accesso a servizi o agevolazioni sociali.

Conti correnti/La giacenza media

La Superanagrafe dei conti correnti è destinata ad arricchirsi di altre informazioni. Banche e altri intermediari finanziari dovranno comunicare anche il valore medio di giacenza annua di depositi e conti correnti bancari e postali. Nel calcolo dell’Isee di utilizzerà il più alto tra il dato sulla giacenza media e quello del saldo a fine anno.

fonte: Il Sole 24 Ore

 

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Lavoro, in quali casi resta il reintegro

Cosa succede se una azienda sopprime una posizione di lavoro perché in crisi o decide di cambiare modello organizzativo (per esempio, esternalizza l’ufficio paghe o l’assistenza informatica)? Che se il licenziamento per motivo economico o organizzativo viene dichiarato illegittimo, per il lavoratore con contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, scatta un indennizzo «certo e crescente» che varia, cioè, in funzione dell’anzianità di servizio.

Qui il successivo decreto delegato dovrebbe prevedere un doppio binario: un indennizzo monetario fino a un massimo di 1,5 mensilità per ogni anno di impiego, con un tetto di 36 mensilità, oltre il quale il giudice non potrà andare; o la possibilità per il datore di versare spontaneamente un’indennità al lavoratore licenziato (le tutele crescenti consisterebbero in una mensilità per ogni anno di servizio, con un limite di 24 mensilità). A questo punto, se il lavoratore rifiuta la conciliazione, deve restituire la somma ricevuta e impugnare il licenziamento entro un termine breve e «certo»; altrimenti la conciliazione si intende raggiunta per comportamento concludente.

Attualmente per i licenziamenti economici, per giustificato motivo oggettivo, è previsto il pagamento di un’indennità (tra 12 e 24 mesi). Ma se il fatto è «manifestamente insussistente» scatta il reintegro più il pagamento di una indennità fino a 12 mesi.
Nel caso invece di «licenziamento nullo» l’emendamento riformulato dal governo al Jobs act depositato ieri in commissione Lavoro conferma l’attuale regime di tutela reale. Si tratta di ipotesi di scuola o poco più, se si licenzia una madre durante il primo anno di vita del figlio o un coniuge 12 mesi dopo le nozze ci sarà sempre e comunque il reintegro in azienda e il datore dovrà pagare pure il risarcimento, come previsto dall’attuale articolo 18, post legge Fornero.

Rimarrà in vigore l’attuale normativa (tutela reale piena) anche nei casi di licenziamento discriminatorio. Qui si tratta di ipotesi in cui l’azienda licenzia perchè si è iscritti a un sindacato, o per un determinato orientamento sessuale o credo religioso o colore della pelle. In caso di declaratoria di illegittimità di questi licenziamenti si conferma la condanna al reintegro oltre al pagamento del risarcimento pieno.

Le principali novità (oltre alla cancellazione della reintegra tout court nei licenziamenti economici) arrivano pure sul fronte dei licenziamenti disciplinari, quando cioè c’è una mancanza del lavoratore (e viene quindi meno il vincolo fiduciario). In queste ipotesi, secondo la riformulazione del governo, la regola generale è l’indennizzo economico inversamente proporzionale rispetto alla colpa del lavoratore. Rimarrà invece il reintegro solo limitatamente «a specifiche fattispecie di licenziamenti disciplinari ingiustificati».
Oggi, dopo la legge 92, sono solo due i casi in cui, nei licenziamenti disciplinari, è in vigore la tutela reale: quando cioè il fatto non sussiste (non è vero che il dipendente ha rubato) o quando è punito nei contratti collettivi o nei codici disciplinari con una sanzione conservativa (per esempio, una multa o una sospensione di 1 o 2 giorni dal lavoro). Nella pratica, tuttavia, questa formula, molto compromissoria, ha lasciato incertezze interpretative che hanno determinato una divisione di orientamenti tra i giudici. E quindi complicato il quadro (senza dare regole certe a imprese e lavoratori).

L’individuazione delle «specifiche fattispecie» arriverà con i decreti delegati: l’ipotesi su cui si sta lavorando l’esecutivo è ridurre il reintegro nei casi in cui sia dimostrata l’insussistenza del fatto, inteso come reato perseguibile d’ufficio, contestato al lavoratore. E quindi si avrebbe una limitazione a casi gravissimi (qualora non si riuscirà a delimitare queste fattispecie si potrebbe consentire al datore di lavoro di optare per l’indennizzo anche in caso di condanna al reintegro – un’ipotesi tuttavia osteggiata dalla minoranza Pd). Da quanto si apprende, si starebbe valutando anche di inserire nel decreto delegato su tutele crescenti e articolo 18 anche la normativa sul contratto di ricollocazione (si ragiona di riconoscerlo al lavoratore licenziato con almeno due anni di anzianità aziendale). Il punto è «non ripetere gli errori del passato – ha sottolineato il giuslavorista Giampiero Falasca -. Pensare di ancorare la reintegra ai fatti astrattamente perseguibili come reati sarebbe un errore decisivo: il concetto non ha confini certi, e quindi si aumenterebbe l’incertezza, invece che ridurla».

Come cambiano i licenziamenti
ECONOMICI – Solo indennizzi monetari
L’emendamento riformulato dal governo modifica l’articolo 18: se un’azienda sopprime una posizione di lavoro perché in crisi o decide di cambiare modello organizzativo (per esempio, esternalizza l’ufficio paghe o l’assistenza informatica) e il licenziamento viene dichiarato illegittimo, per il lavoratore con contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, scatta un indennizzo «certo e crescente» che varia in funzione dell’anzianità di servizio. Qui il successivo decreto delegato dovrebbe prevedere un doppio binario: un indennizzo monetario fino a un massimo di 1,5 mensilità per ogni anno di impiego, con un tetto di 36 mensilità, oltre il quale il giudice non potrà andare; o la possibilità per il datore di versare spontaneamente una indennità al lavoratore licenziato (le tutele crescenti consisterebbero in una mensilità per ogni anno di servizio, con un limite di 24 mensilità). A questo punto, se il lavoratore rifiuta la conciliazione, dovrà restituire la somma e impugnare il licenziamento entro un termine breve e «certo»

NULLI E DISCRIMINATORI – Resta il reintegro in azienda
Nel caso di «licenziamento nullo» l’emendamento riformulato dal governo al Jobs act depositato ieri in commissione Lavoro conferma l’attuale regime di tutela reale. Si tratta di ipotesi di scuola o poco più, se si licenzia una madre durante il primo anno di vita del figlio o un coniuge 12 mesi dopo le nozze ci sarà sempre e comunque il reintegro in azienda e il datore di lavoro dovrà pagare pure il risarcimento, come previsto dall’attuale articolo 18, dopo le modifiche apportate dalla legge 92 del 2012 (riforma Fornero).
Rimarrà in vigore l’attuale normativa (tutela reale piena) anche nei casi di licenziamento discriminatorio. Qui si tratta di ipotesi in cui l’azienda licenzia perché si è iscritti a un sindacato, o per un determinato orientamento sessuale o credo religioso o colore della pelle. In caso di declaratoria di illegittimità di questi licenziamenti si conferma la condanna al reintegro oltre al pagamento del risarcimento pieno, anche qui come previsto dalla legge 92 (che sul punto non viene modificata)

DISCIPLINARI – Reintegra solo per casi specifici
Novità sul fronte dei licenziamenti disciplinari, quando cioè c’è una mancanza del lavoratore (e viene quindi meno il vincolo fiduciario). In queste ipotesi, secondo la riformulazione del governo, la regola generale è l’indennizzo economico inversamente proporzionale rispetto alla colpa del lavoratore. Rimarrà invece il reintegro solo limitatamente «a specifiche fattispecie di licenziamenti disciplinari ingiustificati». Oggi, dopo la legge 92, sono solo due i casi in cui, nei licenziamenti disciplinari, è in vigore la tutela reale: quando cioè il fatto non sussiste (non è vero che il dipendente ha rubato) o quando è punito nei contratti collettivi o nei codici disciplinari con una sanzione conservativa (per esempio, una multa o una sospensione di 1 o 2 giorni dal lavoro). L’individuazione delle «specifiche fattispecie» arriverà con i decreti delegati: l’ipotesi su cui sta lavorando l’esecutivo è ridurre il reintegro nei casi in cui sia dimostrata l’insussistenza del fatto, inteso come reato perseguibile d’ufficio, contestato al lavoratore.

fonte: Il Sole 24 Ore

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Fatture false, la punibilità scatta sopra i mille euro

Non punibilità per le frodi sotto i mille euro. Niente sanzioni penali ma solo amministrative. Applicabilità alle violazioni già commesse alla data di entrata in vigore delle nuove norme purché non sia stato notificato un atto di accertamento. Diverso carico fiscale tra le fattispecie di abuso e di legittima scelta tra regimi diversi offerti dalla legge. La disciplina dell’abuso del diritto comincia finalmente a prendere forma.

E il decreto attuativo potrebbe andare già domani al Consiglio dei ministri o al massimo a quello successivo insieme anche alla riforma delle sanzioni.Un lavoro di rifinitura delle norme elaborato dalla commissione presieduta dal presidente emerito della Corte costituzionale, Franco Gallo, che ha visto coinvolti nelle ultime settimane ministero dell’Economia, agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza. Il testo che dovrebbe essere portato all’esame del Governo – secondo quanto anticipato anche dall’agenzia di stampa Public Policy – indica una soglia di mille euro al di sotto della quale è prevista la non punibilità per il reato di frode attraverso l’uso ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Ma soprattutto dovrebbe sciogliere due dei maggiori nodi che hanno caratterizzato la codificazione dell’abuso del diritto. In primo luogo, dovrebbe essere esclusa la sanzionabilità penale dei comportamenti ritenuti abusivi (e quindi al di fuori del perimetro della legittima scelta economica dell’impresa). Tutta la partita quindi si giocherà solo sul piano delle sanzioni amministrative. Ma non solo. Perché le nuove norme dovrebbero essere applicabili anche alle violazioni già commesse prima dell’entrata in vigore. Unico paletto (non irrilevante) è che però non deve essere stato già notificato un atto impositivo. Precisazione, quest’ultima, che significherebbe salvare gli accertamenti già emessi e lasciare in piedi i contenziosi già in corso. Nel pacchetto delle disposizioni, è molto probabile l’inserimento del raddoppio della soglia di punibilità per la dichiarazione infedele nel caso di adesione delle imprese al regime di adempimento collaborativo, il tutoraggio rivolto ai grandi contribuenti.

C’è poi tutto il capitolo dei reati tributari. La certezza è che dovrebbe essere superato il reato di omesso versamento dell’Iva, come ribadito dal ministero dell’Economia in risposta al question time alla commissione Finanze della Camera della scorsa settimana (si veda Il Sole 24 Ore del 14 novembre). Mentre non dovrebbero esserci spiragli per la depenalizzazione dell’omesso versamento di ritenute.

Intanto torna oggi all’esame delle Commissioni Finanze di Camera e Senato anche il decreto delegato sui tabacchi. L’esame extra da chiudere in 10 giorni si è reso necessario per la modifica introdotta dal Governo al decreto legislativo già esaminato dalle Camere e che estende il regime fiscale previsto per i tabacchi da inalazione senza combustione anche a «nuovi prodotti» da inalazione senza combustione costituiti esclusivamente o parzialmente da sostanze solide diverse dal tabacco. Sempre sul cronoprogramma di attuazione della delega, nel dibattito di ieri sulla legge di stabilità e in particolare alle modifiche richieste dalle opposizioni al fondo sulle ludopatie, il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, ha precisato che il Governo non attenderà il termine di marzo 2015 ma attuerà la delega sui giochi pubblici già nelle prossime settimane.

fonte: Il Sole 24 Ore

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Ddl di stabilità: ravvedimento anche nel 2016

Le novità per il ravvedimento operoso previste dal Ddl di stabilità 2015 – ancora in fase di approvazione – si faranno sentire anche per i versamenti in scadenza il prossimo 1° dicembre.

In caso di pagamento insufficiente dell’acconto, con le regole attuali (articolo 13 del Dlgs 472/97) è possibile sanare la violazione versando una sanzione ridotta pari allo 0,2% giornaliero (ravvedimento sprint), se la regolarizzazione avviene nei primi 14 giorni dalla scadenza (entro il 15 dicembre 2014), al 3% se avviene entro il 30° giorno (entro il 31 dicembre 2014) e al 3,75% (sanzione ridotta ad 1/8) se avviene entro il termine di invio di Unico 2015, fissato al 30 settembre 2015.
Le modifiche previste dal Ddl di stabilità 2015 – se tradotte in legge – potranno autorizzare il ravvedimento anche in caso di versamento oltre il 30 settembre 2015. Infatti, le sanzioni sarebbero dovute nella misura di 1/7 in caso di pagamento entro il 30 settembre 2016, mentre spetterebbe la riduzione a 1/6 in caso di regolarizzazione oltre il 30 settembre 2016 (termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in cui la violazione è stata commessa). Il tutto con l’unico limite rappresentato dalla notifica di un atto impositivo o “avviso bonario”.

Lo stesso Ddl, dal 2015, introduce un’altra ipotesi di riduzione delle sanzioni a 1/9 (nuova lettera a-bis), articolo 13), agganciando la decorrenza del termine per il ravvedimento a quello di presentazione della dichiarazione e non a quello di commissione della violazione. Una norma che, se fosse confermata nel testo definitivo, realizzerebbe il paradosso per cui, il “costo” per il ravvedimento dell’acconto beneficia di una riduzione a 1/9 delle sanzioni se effettuato entro il 29 dicembre 2015 e di 1/8 se effettuato entro il 30 settembre 2015. Come dire che aspettare conviene.

fonte: Il Sole 24 Ore

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Catasto, la riforma cambia il calcolo del valore degli immobili

Sarà un algoritmo a decidere le sorti degli immobili dal punto di vista catastale: l’equazione che permetterà di definire le nuove rendite e i nuovi valori catastali è in lavorazione da parte dei tecnici dell’ex agenzia del Territorio (ora delle Entrate).
L’algoritmo terrà conto di una serie di parametri che dovrebbero permettere una quantificazione più veritiera del valore degli immobili: dai metri quadri alla microzona di appartenenza fino alle tipologie (negozi, abitazioni eccetera). Al valore medio di mercato individuato grazie al calcolo si applicheranno dei coefficienti che dipenderanno da ubicazione, epoca di costruzione e grado di finitura.

Per completare il lavoro di revisione del catasto saranno fondamentali le 103 commissioni censuarie chiamate a validare le funzioni statistiche che daranno vita al nuovo sistema di calcolo dei valori immobiliari.
Ma cosa succederà, in pratica, ai proprietari di immobili? Alcuni si troveranno a pagare imposte più alte. Nel caso in cui si volesse contestare gli importi attribuiti, si potrà farlo in autotutela presso gli uffici delle Entrate o presentando un ricorso vero e proprio al giudice tributario.

fonte: Il Sole 24 Ore

Ecco come sarà il nuovo regime dei minimi dal 2015.

Partite Iva: per chi vale e come funziona il nuovo regime dei minimi

Il nuovo regime agevolato dei «minimi» per le partite Iva è riservato a chi nel 2014 ha conseguito ricavi o percepito compensi non superiori ai limiti – da 15mila a 40mila euro – stabiliti a seconda del tipo di attività svolta. Il reddito si calcola quindi applicando ai ricavi un coefficiente di redditività variabile dal 40 all’86%, in base (anche qui) all’attività. È sul reddito così calcolato che si applica l’imposta sostitutiva del 15 per cento.

I requisiti
Le soglie di ricavi e compensi che non devono essere superati per accedere al regime agevolato (e restarci) sono dettagliate nella tabella allegata al disegno della legge di Stabilità. Lo schema circolato in queste ore  prevede nove gruppi di settori. Ad esempio, gli intermediari del commercio e i professionisti non dovranno totalizzare ricavi per più di 15mila euro, mentre chi svolge attività di servizi di alloggio e di ristorazione la soglia sale fino a 40mila euro. Si tratta di un cambio notevole rispetto all’attuale regime dei minimi, aperto a chi incassa al massimo 30mila euro l’anno. In alcuni casi, quindi, chi è oggi un “minimo” non potrà aderire al nuovo regime; e in altri chi oggi è escluso potrà entrare nella tassazione agevolata dal 2015.

Le soglie devono essere ragguagliate ad anno, sia per l’accesso che per la permanenza nel regime. Pertanto, chi ha iniziato la propria attività quest’anno deve determinare la soglia limite (da ragguaglio ad anno) e verificare di non averla superata. Allo stesso modo, chi avvierà l’attività nel 2015 dovrà verificare di non superare la soglia ragguagliata per poter continuare ad applicare il regime agevolato anche nel 2016. Inoltre, chi quest’anno si è adeguato alle risultanze di Gerico o dei parametri e intende accedere dal 2015 al nuovo regime non deve considerare i conseguenti maggiori ricavi e compensi. Se poi si svolgono contemporaneamente attività diverse, occorre considerare il limite più elevato dei ricavi e compensi relativi alle diverse attività esercitate.

Ma non ci sono solo i ricavi. Per essere ammessi al regime agevolato occorre rispettare anche altri requisiti: le spese per il personale non devono eccedere 5mila euro e il valore lordo dei beni strumentali al 31 dicembre 2014 non deve superare 20mila euro.

Il regime
Per determinare il reddito non occorre, come accade oggi per il regime dei minimi, sottrarre le spese ai ricavi. Piuttosto, secondo il Ddl di Stabilità, il reddito dovrà essere determinato forfettariamente, applicando un coefficiente di redditività all’ammontare dei ricavi o compensi. L’unica deduzione ammessa dal reddito è quella relativa ai contributi previdenziali versati nell’anno.
Al reddito così determinato si applica un’imposta sostitutiva di Irpef, addizionali e Irap pari al 15 per cento. Solo per i primi tre anni di attività il reddito imponibile può essere abbattuto forfettariamente di un terzo. Inoltre, eventuali componenti positivi e negativi di reddito relativi ad anni precedenti, la cui tassazione è stata rinviata in base a disposizioni del Testo unico delle imposte sui redditi, parteciperanno per le quote residue al reddito dell’esercizio precedente a quello di accesso al regime agevolato (per chi lo applicherà dal 2015, concorreranno nel 2014). Per versare l’imposta sostitutiva si dovranno seguire le disposizioni previste per l’Irpef.

fonte: Il Sole 24 Ore

Partite Iva, ecco perché conviene aprirla adesso

Le modifiche al regime dei minimi previste dal Ddl di Stabilità – ora all’esame della Camera – a partire dal 2015 rendono necessaria una riflessione per chi deve o decide di aprire una partita Iva. Chi sa di doversi mettere in proprio o di dover avviare un’attività (di piccole dimensione) potrebbe avere avere tutta la convenienza a farlo adesso. Perché? Chi aprisse una partita Iva dal 1° gennaio si troverebbe con uno scenario cambiato: prima di tutto con un’imposta sostitutiva non più al 5% ma al 15%, con limiti di ricavi non più uguali per tutti a 30mila euro ma variabili in base al tipo di attività svolta, determineranno il reddito in base a un coefficiente di redditività anche in questo caso variabile. Che cosa significa? Se un professionista otterrà compensi per 12mila euro nel corso del 2015, dovrà calcolare l’imposta sostitutiva (15%) su 9.360 euro (il 78% di 12mila euro) con la possibilità di decurtare solo i contributi versati.

Partite Iva e Cocopro, per le donne 11mila euro in meno in busta paga

Un modo per “sfuggire” a queste nuove regole – almeno per qualche anno – potrebbe essere quello di aprire una partita Iva adesso se si hanno le condizioni per accedere nell’attuale regime dei minimi, quello per intenderci con l’imposta al 5 per cento. Certo, si potrebbe obiettare che bisognerebbe poi sostenere fiscalmente i costi sugli ultimi due mesi dell’anno (in pratica pagare le imposte nel 2015) ma d’altro canto se non si hanno compensi o ricavi non ci sarebbe nulla da pagare.

Aprire adesso una partita Iva ed entrare nei minimi così come sono ora potrebbe avere il vantaggio – consentito dall’attuale formulazione del Ddl di Stabilità – di applicare le vecchie regole fino al termine del quinquennio (o fino al compimento del 35° anno di età), naturalmente se fossero rispettate tutte le altre condizioni.

Non bisogna dimenticare che in due casi su tre i contribuenti minimi hanno meno di 35 anni e sono per lo più professionisti, informatici, venditori, agenti. Si tratta di soggetti che, molto spesso, non hanno un grande giro d’affari né ingenti investimenti alle spalle e rischiano di galleggiare in una sorta di zona grigia tra lavoro dipendente, collaborazioni e lavoro autonomo. Difficile escludere che non si nascondano anche false partite Iva, anche se le condizioni d’accesso che erano state poste al momento del restyling nel regime (il Dl 98/2011) volevano appunto evitare questo rischio.

L’agevolazione alle start up

Per completezza e correttezza, bisogna anche ricordare che il Ddl di Stabilità tende anche una mano ulteriore a chi avvia una nuova attività. Il reddito può essere infatti abbattuto di un terzo per i primi tre anni di avvio di una nuova iniziativa imprenditoriale o professionale. Un aiuto non da poco. Anche se i minimi al 5% durano cinque anni e non tre.

fonte: Il Sole 24 Ore