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La crisi blocca l’antieconomicità

Dottore Commercialista Revisore Legale dei Conti & Partners

Le difficoltà del settore economico di riferimento giustificano il comportamento apparentemente antieconomico. A stabilirlo è la sentenza 247/23/2013 della Ctr Puglia, sezione staccata di Lecce, che ha confermato la pronuncia di primo grado favorevole a una società immobiliare di gestione alberghiera. L’impresa aveva ricevuto nel 2011 un avviso di accertamento con cui il Fisco aveva calcolato maggiori ricavi con la conseguenza rettifica delle imposte per Ires, Iva e Irap. Il calcolo, giustificato da uno scostamento del 17% tra ricavi accertati e dichiarati, era avvalorato dall’antieconomicità della gestione d’impresa.

La Ctr ha fatto proprie le argomentazioni della Commissione provinciale e ha ritenuto di confermare la sentenza appellata in quanto il contribuente aveva adeguatamente giustificato la presunta antieconomicità. Inoltre uno scostamento del 17% dei ricavi dichiarati rispetto a quelli presunti non integra una «grave incongruenza» e, di conseguenza, non è idoneo a legittimare un accertamento. La società ha fatto rilevare che l’anno oggetto di accertamento era stato caratterizzato da una crisi generalizzata del comparto turistico dovuta, a livello microeconomico, a una flessione nel livello medio dei prezzi in virtù dalla proliferazione incontrollata di agriturismi e bed and breakfast. A livello macroeconomico, invece, il diffondersi dell’epidemia Sars e la difficile situazione di sicurezza internazionale ha certamente influito sull’andamento dei ricavi. A ciò si è aggiunto il mutamento della clientela (sempre meno clienti business) con il venir meno dei segmenti di mercato come quelli convegnistica e dei banchetti. Il contribuente quindi ha giustificato le perdite affermando anche che, a causa dell’assenza di moderni sistemi tecnologici di gestione, non aveva ridotto il personale a fronte della contrazione dei ricavi.

La Ctr ha ritenuto valide le argomentazioni del contribuente e ha respinto l’appello dell’amministrazione finanziaria. «Attraversando una situazione economica disagevole – precisa la pronuncia – la società non ha potuto effettuare investimenti nel rinnovamento della struttura alberghiera e ha dovuto continuare a sfruttare al meglio quella già esistente, che richiede l’impiego di maggior personale». Inoltre la posizione della società andava considerata «in un più ampio rapporto sinergico» con il gruppo imprenditoriale di cui faceva parte.

Di conseguenza «i comportamenti della società risultano ampiamente giustificati» al punto tale che, in assenza di prova contraria, non può esserle imputata una condotta antieconomica. Anche la Cassazione è più volte tornata sull’antieconomicità. Di recente, la sentenza 22130/2013 ha ritenuto che, una volta contestata l’antieconomicità di un’operazione, diventa onere del contribuente dimostrarne l’opportunità. L’ufficio, in mancanza di giustificazioni, può ritenere che quel comportamento antieconomico celi una diversa realtà fattuale e sia perciò indizio di evasione d’imposta. Le giustificazioni del contribuente non possono «invocare l’apparente regolarità contrattuale e contabile, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni di valore di gran lunga eccedente a quello effettivo» (si vedano le pronunce di legittimità 14941/2013, 951/2009 e 24532/2007).

Un comportamento antieconomico, cioè contrario al principio secondo cui ogni imprenditore tende alla massimizzazione del profitto, legittima un accertamento presuntivo in base all’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/1973 qualora il contribuente non spieghi le ragioni della sua condotta.

fonte: Il Sole 24 Ore